lunedì 12 dicembre 2011

CAPITOLO 20

EPOV

Di nuovo mi ritrovai a domandarmi cosa diavolo fosse successo.
Di nuovo mi domandai come potesse essere accaduto.
Mi ero scopato Tanya in ufficio. L’avevo fatto di proposito. Volevo che lei vedesse. Che ne fosse così ferita da non avvicinarsi mai più. Che ne fosse così umiliata da odiarmi e  porre fine ai nostri giochi dolorosi. L’avevo fatto anche per punirla.
L’avevo fatto per togliermela dalla testa e dal cuore.
Ma quando avevo sentito la sua voce sottile e gentile in ufficio,  tutta la mia sicurezza e la mia determinazione erano andate a pezzi. Stavo commettendo il più orrido dei tradimenti e lei lo avrebbe capito. Avrebbe colto la crudele intenzione dietro il mio gesto.
Non avrei mai potuto lasciare Tanya e Tanya non mi avrebbe mai permesso di vivere una relazione con un’altra donna a lungo.
Ero arrivato al punto di meditare di lasciare il mio posto da direttore.
Ma poi lei aveva parlato. Tra le lacrime d’odio e di dolore.
Se ne sarebbe andata. Non l’avrei mai più rivista.
Era quello che volevo.
Era quello che volevo?
Nel sentirglielo dire mi si era spezzato il cuore. Non potevo tollerare di non rivederla più, mai più. Dove sarebbe andata? Con chi?
Vederla nel mio appartamento era stato uno shock.
Certamente il mio corpo aveva reagito al suo solito. Ma la mia testa e il mio cuore mi dicevano che qualcosa non andava. Che qualcosa era fuori posto. Era Bella e non era lei. Era calda, appassionata ma fredda come il ghiaccio. Mi  aveva torturato e si era torturata.
L’intensità di quei momenti era stata travolgente e spaventosa allo stesso tempo. Sapevo che l’avevo persa. Vederla in tutta la sua meraviglia e in tutto il potere che aveva su di me su quella sedia e non poterla avvicinare mi aveva fatto venire come un adolescente davanti al suo primo porno.
Ma lei era molto più di questo, molto meglio.
Avrei dovuto dirglielo. Avrei dovuto fermarla.
Non ci ero riuscito.
Ed ora se ne era andata.
Mi aveva allentato il nodo al polso ed ero riuscito a slegarmi.
Quando Tanya era tornata a casa avevo finto che tutto andasse bene e l’avevo portata fuori a cena. Non tolleravo di stare un minuto di più in casa mia.
Passai la notte insonne.
Arrivai in ufficio prima dell’alba.
Speravo ancora con tutto il mio cuore di vederla arrivare, di poterle spiegare.
Arrivò solo la sua lettera di dimissioni.
La giornata fu un inferno.
Mio zio cercava di capire cosa avesse spinto una delle sue migliori collaboratrici ad andarsene e mi guardava con sospetto. Kate e Jessica mi guardavano con disprezzo esplicito. E all’appello in ufficio mancava anche quello stronzo di Jacob.
Provai disperatamente a contattarla con il cellulare.
Rimase staccato tutto il giorno ed i giorni successivi.
Jacob si era preso una settimana di ferie ed era irreperibile.
Il venerdì non andai in ufficio, mi diressi senza alcun ripensamento verso il suo appartamento.
Nessuno rispose.
Il portiere mi avvicinò e mi chiese se avevo bisogno d’aiuto.
Mi disse che la signorina Swan aveva lasciato l’appartamento il lunedì. Il giorno dopo il nostro ultimo incontro.
Mi sentii mancare l’aria.
Se ne era andata davvero.
Il lunedì successivo Jacob tornò a lavorare. Lo chiamai nel mio ufficio non appena fui messo al corrente della sua presenza.
“Dove cazzo è andata?” gli abbaiai in faccia
“Chi?”  rispose senza scomporsi e con un lieve ghigno da bastardo.
“Lo sai chi… dimmi dov’è!”
“Neanche morto”
Gli volai addosso con una furia cieca.
L’odio e la frustrazione di entrambi ci resero delle bestie inferocite.
Lui era molto più muscoloso di me. Ma io ero allenato e parecchio. Se non ci avessero fermati ci saremmo ammazzati.
Jessica e Kate entrarono in ufficio nel panico.
Garret chiamò la sicurezza. La fottuta sicurezza per fermare me , Edward Cullen, amministratore delegato di uno dei maggiori gruppi dell’America continentale, dal massacrare Jacob Black, fottuto vice.
Venimmo separati.
Gli urlai che non sarebbe finita così.
Lui sorrise di nuovo e mi urlò di rimando
“L’hai persa stronzo!”
Dopo una lunga riunione con Carlisle, decidemmo di comune accordo che mi sarei preso una settimana di pausa. Per darmi una regolata e far calmare le acque.
La sera contattai Jenkins, l’investigatore privato di fiducia di cui mi avvalevo in situazioni lavorative critiche o particolari.
Si faceva pagare in modo disgustosamente esagerato. Ma era il migliore. Ed io volevo solo il meglio.
Passavano i giorni e Jenkins non aveva novità di alcun tipo.
Isabella era sparita dal fottuto pianeta.
Una settimana dopo tornai al mio posto. Come nulla fosse.
Ripresi la mia routine, divorato dall’incertezza, divorato dall’angoscia di non sapere, di non poter agire. Non era assolutamente qualcosa a ero abituato. E non mi piaceva. Non mi piaceva per niente.
Avevo suggerito a Jenkins di controllare anche Black.
L’unico risultato che ottenni fu di sapere che nemmeno lui aveva la benché minima fottuta idea di dove fosse finita Isabella. D’istinto fui felice, sollevato. Lo stronzo non aveva potuto metterle le sue sporche grinfie addosso. E stava male come me.
Ma poi, successivamente la cosa mi allarmò ancora di più. Non avevo nessuna possibilità di arrivare a lei attraverso di lui. Non avevo niente.
Niente.
I mesi passarono.
Niente.
All’apparenza ero tornato la persona razionale e controllata di sempre.
Andavo al lavoro.
Maneggiavo milioni.
Tornavo a casa.
Mi fottevo Tanya. Raramente e rabbiosamente.
Mi mettevo a letto.
Non dormivo.
Tornavo al lavoro.
Il venerdì andavo al club, mi stordivo fino a non sentire più nulla. A non sentire più la lama nel cuore ad ogni respiro. Il rimpianto che mi divorava. Isabella mi era entrata dentro, più profondamente di quanto avessi inizialmente compreso.
In poche settimane aveva sconvolto il mio equilibrio. Il mio sistema strutturato.
Dopo la disperazione iniziai a provare rabbia.
Come cazzo si era permessa.
Andarsene così.
Come cazzo aveva potuto non vedere quello che c’era tra noi. Non sentire. Non capire.
La rabbia aveva infine lasciato il passo alla rassegnazione.
Ad una sorta di ritrovato, annebbiato equilibrio.
In quella nebbia passai altri 3 anni.
3 anni in cui il suo ricordo si fece sempre più flebile.
Fino a quella sera.
3 anni dopo il nostro ultimo incontro.
3 anni dopo l’unica volta nella mia vita in cui avevo amato e mi ero sentito amato.
Era un venerdì sera. Era venerdì 3 luglio.
Stavo cenando in  sala con Tanya.
Il pensiero di Isabella si era fatto meno costante. Il dolore però acuto come sempre ogni volta che il pensiero di lei appariva nella mia testa.  Ero arrivato al punto di non masturbarmi più, e di ridurre al minimo possibile il sesso con Tanya.
Perché per quanto provassi ad eliminarla dalla mia memoria, in quei momenti l’unica cosa che vedevo era lei.
“Edward ….ricordi Isabella Swan?” disse con un tono casuale
Lasciai andare l’elegante forchetta d’argento e alzai gli occhi. Il sangue gelato nelle vene. Gli occhi di ghiaccio. L’aria che aveva lasciato i miei polmoni. Non dissi una parola.
“Pensa … quella piccola ingrata… ricordi che aveva lavorato per noi qualche settimana  un po’ di anni fa e poi era sparita, se ne era andata dal giorno alla notte senza nemmeno avere la decenza di dare una spiegazione?”
Sentivo la testa girare. Il battito cardiaco aumentare. Cercai di non perdere del tutto il controllo. Che cazzo stava dicendo?
“Sai chi è oggi?”
Che cazzo dice…
“Non lo indovinerai mai ...” rideva, di un riso amaro, controllandomi di sottecchi.
“Credo di capire perché è venuta da noi e poi se ne è andata … fottuta spia …”
Che cazzo dice…
“Ora si chiama Isabella Newton ed è la moglie di Michel Newton, della Newton e Co. Il nostro principale concorrente, che tra l’altro sarà a New York la prossima settimana per il nostro ballo di beneficienza…”
Che cazzo dice….

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